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Nessuno come i cavalli arabi

di Daniele Lorenzetti

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6 novembre 2009

Pochi animali appartengono alla memoria e all'immaginario di un popolo come il purosangue arabo. Racconta un mito che Dio fece uscire i puledri dal mare agitato, e furono loro a insegnare al vento la velocità. Una storia tra le tante del Corano e della letteratura mediorientale, dove il cavallo è oggetto di un amore quasi mistico. «Nulla è più intenso – cantò un poeta islamico – che cavalcare a briglie sciolte verso l'infinito». Se l'epica e il sacro sono un bel pezzo del fascino di questa razza equina, considerata la più nobile e la "miglioratrice" di tutte le altre, l'ambiente deserto ne fu il selezionatore, e i nomadi a lungo i compagni di vita, che ne decantavano la bellezza in versi: fronte camusa e collo tornito, carattere affettuoso e spirito d'acciaio.

L'arabo più bello del mondo anche quest'anno sarà eletto a dicembre, al Salon du cheval di Parigi, da una autorevole giuria internazionale. Il favorito della vigilia è uno stallone grigio di linea egiziana, nato in Israele e allevato in Germania, di nome Al Lahab. Dieci anni sulla groppa, curve mozzafiato, e tutte le carte in regola per vincere, di certo è una meraviglia di animale, così famoso nell'ambiente da avere un sito Internet e una "photo gallery" tutti per sé: Al Lahab puledro appena nato, Al Lahab campione predestinato, Al Lahab finalmente decorato. Prova vivente, se ce ne fosse bisogno, che il mito dell'arabo resiste anche oggi, e si sposa volentieri con il business.

«Solo in Italia sono quasi ventimila i purosangue arabi con pedigree registrato», dice a IL Pierluigi Rota, segretario dell'Anica (Associazione nazionale italiana del cavallo arabo). La febbre dell'acquisto è alta, tanto che ormai si affitta l'utero delle fattrici o si compra direttamente l'embrione: «C'è chi lo fa solo per hobby e chi, a furia di correre, finisce per demolire un cavallo all'anno». È questa l'altra faccia dell'endurance, sport dove l'arabo non conosce rivali: centosessanta chilometri di maratona che rievocano le cento miglia dei pony express americani, uomo e animale insieme, spingendo al limite le forze.

È la fine di settembre e siamo agli Europei Open di Assisi, la prova di endurance più importante del 2009 fotografata da IL per questo servizio. Alessandro Marconi ha iniziato come maniscalco trasferendosi dieci anni fa da Parma a Dubai. Ora allena uno dei figli dell'emiro del Bahrain. E spiega, aggirandosi per le scuderie alla vigilia della partenza: «Lo sport lo hanno letteralmente inventato gli Stati del Golfo, foraggiando un circuito di eventi in giro per il mondo». I premi in palio sono poco più che l'onore in Europa, ma una montagna di soldi nelle sfide nel deserto, dove il vincitore può aggiudicarsi fino a un milione di euro. La stessa cifra, più o meno, che valgono i cavalli al top della disciplina.

La caduta del sultano
Se il grosso del mercato è fatto da semplici appassionati, «gli affari che contano sono sempre appannaggio di pochi. Senza considerare il problema del doping», sostiene Tiziana Benedetti, agguerrita neopresidente dell'Associazione purosangue arabo italiano. Qualche caso, debitamente ovattato, ha sfiorato anche i campioni dei signori del petrolio, per i quali montare un arabo è come imparare a camminare, e l'endurance sport nazionale. Tra i fan più accaniti, e abituali frequentatori delle rassegne iridate, si contano il tredicesimo Capo di Stato della Malesia, sultano Mizan Zainal Abidin (ritiratosi ad Assisi per una caduta), e molti sceicchi come Mohammed Al Maktoum, principe di Dubai e primo ministro degli Emirati. Riassume il ventiduenne Nasser Al Khalifa, figlio del re del Bahrain: «Amo follemente i miei cavalli e scrivo poesie su di loro, anche se forse dovrei odiarli un po'. Quando li ami troppo non riesci a spingerli al limite».

L'endurance te lo dipingono così, miscela di amore e crudeltà. Come poteva essere altrimenti per una gara che comincia al buio delle cinque di mattina, e dura lo spazio di un'intera giornata? A ogni controllo veterinario, i cavalli vengono sottoposti a una dose di docce gelate che servono a rallentare il battito cardiaco prima di ripartire. «Una mezza tortura», sbotta qualcuno. Ma agli sceicchi l'endurance piace. Infatti a Dubai hanno progettato e costruito Meydan City, un'intera città consacrata all'equitazione.

E tuttavia, proprio la geografia riserva più di una sorpresa. Per secoli, la tradizione dell'asil, ovvero del cavallo "puro" nella definizione di Allah, restò ancorata alla penisola arabica. Le fattrici venivano cresciute a datteri e latte di cammella e – considerate più affidabili degli stalloni – cavalcate per razziare il nemico. Ogni mescolanza di sangue con esemplari provenienti da montagne e città confinanti era vietata. Poi, con l'invasione dei Mori e le crociate, il cavallo arabo iniziò la conquista dell'Europa, intrecciandosi alle razze locali. Finì raffigurato nei dipinti di corte, oppure esposto nelle fiere del bel mondo. Furono tre stalloni importati in Inghilterra, il Darley Arabian, il Byerly Turk e il Godolphin Arabian, a fondare la linea del purosangue inglese. E pure Napoleone Bonaparte, rischiata la sconfitta contro la cavalleria egiziana, si presentò alle battaglie successive in sella a uno stallone di nome Alì. Ma chi l'avrebbe detto che la terra promessa di questi animali alla fine sarebbe diventata l'America?

  CONTINUA ...»

6 novembre 2009
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